“Sicurezza in porto dobbiamo accelerare: La riforma non tocchi gi assetti del lavoro”
GENOVA. Giovedì della prossima settimana si riunirà a Genova l’attivo nazionale dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (Rls) della Filt Cgil, in vista dell’assemblea nazionale a Roma il 5 aprile. Dopo i tragici incidenti nei quali, lo scorso mese, hanno perso la vita due lavoratori portuali, il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro e in banchina è tornato al centro del dibattito.
Il governo ha aperto un tavolo su questo tema.
«E’ vero - risponde Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil - ed è stato importante che il viceministro dei Trasporti, Edoardo Rixi, abbia mantenuto gli impegni presi al nostro congresso, e dopo un primo incontro con le sole associazioni datoriali, cosa che innegabilmente ha creato tensioni, in seguito ha coinvolto anche i sindacati».
Per i prossimi incontri avete fissato dei punti. Quali sono i più importanti?
«Abbiamo consegnato un documento frutto di un lavoro condiviso, nel quale i punti sono tutti importanti».
Ma alcuni dossier sono da anni in attesa di soluzione, come il riconoscimento a determinate categorie portuali del lavoro usurante.
«Di tavoli sulla sicurezza ne abbiamo fatti molti e l’esperienza ci dice che il tema vero è la velocità nell’azione. Molto spesso queste iniziative nascono sull’onda di fatti di cronaca, ma poi tendono a fermarsi. Troppo spesso ho visto frustrate le ambizioni iniziali. Per essere credibili dobbiamo lavorare rapidamente, avendo a disposizione risorse (la sicurezza non si fa senza) e possibilità di agire con norme specifiche e un percorso parlamentare definito. Sul lavoro usurante, le rispondo che il tema è nelle mani del Governo ed in particolare del MEF, ma oggi, come non mai va portato avanti: l’invecchiamento dei lavoratori portuali è sotto gli occhi di tutti, il turnover è necessario. Anche per motivi di sicurezza: non basta ovviamente questo, ma è un primo punto importante».
Quindi cosa bisogna fare da subito?
«L’azione in questa prima fase deve essere condotta su due piani: va prima di tutto fatta un’analisi qualitativa degli incidenti in porto, cosa che oggi non c’è, e agire sugli elementi di rischio più immediati. Poi abbiamo il tema dell’organizzazione del lavoro che si inserisce nell’annunciata riforma portuale».
Ma da quello che si sa finora, la riforma sarà più che altro un fatto di governance.
«Certo, infatti il tema è salvaguardare il modello del lavoro portuale, che ruota intorno al caposaldo della fornitura di manodopera attraverso i cosiddetti articoli 17. E la legge dei porti, la 84/94, è praticamente l’unica norma nel nostro ordinamento che regolando il lavoro fa esplicito riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro per la categoria. Un patrimonio che va salvaguardato e, dove possibile, allargato ad altri settori».
Anche nei porti privatizzati.
«La riforma della governance, che deve dare risposte alle indicazioni dell’Ue, associata al tema dell’autonomia differenziata con la spinta delle istituzioni locali a contare di più, rischia di essere un mix pericoloso. L’Italia per competere ha bisogno di un sistema portuale nazionale con una governance che difenda l’interesse pubblico. Una questione a cui guardiamo con grande attenzione e siamo pronti a mettere in campo ogni azione a difesa di questo principio».
Giovedì prossimo ci sarà l’incontro sugli Rls di sito a Genova.
«Un ruolo in cui crediamo e che va rafforzato, perché queste figure riescono a vedere profili di rischio nell’operatività che possono, anche incolpevolmente, sfuggire al datore di lavoro. Per questo vanno incrementate le loro agibilità e tolte alcune limitazioni sulla loro attività: il porto per loro deve essere pienamente accessibile».